Prima la presentazione del Ministero della Pace per una difesa civile non armata e nonviolenta poi tanti incontri e testimonianze. Il Festival della Missione che si svolge fino ad oggi a Torino sta lanciando tanti messaggi.
Momento clou del Festival della Missione è stato ieri, sabato 11 ottobre, in piazza Castello, con “Disarmati. Volti della resistenza”, evento con storie e volti che hanno scelto la nonviolenza come forma di resistenza. Un appuntamento che è stato anche una risposta concreta contro la *“globalizzazione dell’indifferenza” e *dell’“impotenza”, come denunciato da papa Francesco e ripreso da papa Leone XIV, indicando nella cultura dell’incontro l’unico antidoto possibile.
A testimonianza della forza generatrice del dialogo, sono saliti sul palco Basel Adra, regista del documentario premio Oscar “No Other Land” e Yonatan Zeigen, attivista per la pace e figlio della pacifista israelo-canadese Vivian Silver, uccisa nell’attacco del 7 ottobre. Accanto a loro, Mohammad Huraini, attivista palestinese, giornalista indipendente e difensore dei diritti umani originario di Masafer Yatta.
“Speriamo che il cessate il fuoco a Gaza duri per sempre – l’auspicio di Basel Adra. Tutti – ha aggiunto il regista – ormai sono esausti nel vedere ciò che la popolazione sta subendo. E immaginate cosa significhi viverlo: chi è sopravvissuto a questa tragedia è stremato, costretto a ricominciare da zero — a ricostruire la propria vita, le case, le scuole, le università, gli ospedali, le strade, i negozi, i campi agricoli. Tutti hanno perso il lavoro e il reddito. È una catastrofe immensa. La ricostruzione richiederà decenni e la nostra causa deve essere affrontata alla radice: i palestinesi, ovunque si trovino, devono avere il diritto di tornare nella loro terra. Solo così potremo avere la nostra autodeterminazione e la possibilità di un futuro”.
Sul piano di pace Yonatan Zeigen ha detto di vederlo “diviso in due fasi. La prima dovrebbe fermare il massacro a Gaza e portare al rilascio degli ostaggi e dei prigionieri palestinesi e ciò accadrà”. Qualche dubbio invece sulla seconda parte del piano, giudicata da Zeigen “molto vaga e con il rischio di diventare un “piano da 6 ottobre. Perché non parla davvero del futuro in modo concreto. Penso che il 7 ottobre e tutto ciò che è accaduto da allora a Gaza avrebbero dovuto portare a un profondo cambiamento di mentalità”.
Intervistati dal giornalista Roberto Zichittella, hanno parlato Kim Ari*, figlio della leader birmana Aung San Suu Kyi; e Taghi Rahmani, marito dell’attivista iraniana Narges Mohammadi, entrambe Premi Nobel per la Pace oggi private della libertà.
“Dopo il terremoto crediamo che la prigione in cui mia madre era detenuta sia stata così gravemente danneggiata da rendere necessario il suo trasferimento”, ha ricordato Kim Aris, figlio di Aung San Suu Kyi. “Per quanto ne sappiamo, le sue condizioni di salute stanno peggiorando. Ha ottant’anni e continua a essere tenuta in condizioni terribili. Nel Paese – ha aggiunto – i militari stanno uccidendo indiscriminatamente civili innocenti — buddisti, musulmani, cristiani, donne e bambini. Non fa alcuna differenza per loro: bombardano, distruggono chiese e monasteri, cancellano intere comunità. Ma il regime è sempre più debole e controlla meno del 50% del territorio, i giovani che hanno assaggiato la libertà prima del colpo di stato non vogliono smettere di lottare. Ogni anno ci sono disastri naturali che aggravano la situazione del popolo e i militari usano questi disastri per prolungare il loro dominio. Se non combattiamo tutti insieme – ha evidenziato Kim Aris – ci sveglieremo un giorno con i regimi totalitari a casa nostra”.
“Narges attualmente è fuori dal carcere con un permesso per motivi di salute. È osteggiata dagli agenti del regime iraniano, che la maltrattano, ma lei non si ferma: per lei il rispetto dei diritti umani è la cosa più importante e continua a impegnarsi per realizzarlo – ha detto Taghi Rahmani. Il movimento _Donna, Vita, Libertà_ ha dato nuova linfa al popolo iraniano, spingendolo a lottare ancora di più. Il regime iraniano è stato costretto a fare dei passi indietro, ad esempio riguardo al codice di abbigliamento e all’obbligo del velo. La Repubblica Islamica, oggi, è molto debole e incompetente: non riesce a soddisfare nessuno dei bisogni del popolo, in particolare sul fronte economico”.
Sul palco del Festival della Missione allestito in piazza Castello sono saliti anche suor Azezet Habtezghi Kidane, missionaria comboniana da anni accanto alle vittime della tratta di esseri umani, don Mattia Ferrari, cappellano di bordo di Mediterranea Saving Humans e don Luigi Ciotti, voce libera e instancabile contro le mafie.
Ad accompagnare gli interventi, l’energia e la voce di Chris Obehi. fuggito dal suo Paese a causa delle persecuzioni religiose perpetrate da Boko Haram. Nel gennaio 2020 vince il XIX Premio Rosa Balistreri e Alberto Favara e nel 2024 si è esibito all’Arena di Pace. Poi la musica del gruppo iraniano Hello Baba, che fonde musica sufi, melodie folk, improvvisazione e stili fusion moderni per creare performance dal vivo multistrato. E ancora il Free Voices Gospel Choir, una formazione di 80 coristi, ballerini e musicisti che interpretano il gospel come un canto di libertà e speranza, erede degli spiritual afroamericani e capace di parlare ancora oggi a tutte le “piccole schiavitù” dell’animo umano.
Il Festival della Missione è realizzato in partnership con il Festival dell’Accoglienza (16 settembre – 31 ottobre).